Scena 4
Il mercato
Piazza San Marco
Ci aspetta, ora, e freme dalla voglia di essere raccontata, una rappresentazione variegata di umanità, di scorci di vita quotidiana che, chiassosa e straripante di vita, invaderà Piazza San Marco, nel cuore del centro storico e del percorso de Il Presepe nel Presepe.
Alle nostre spalle abbiamo l’ingresso laterale della chiesa di San Marco, davanti a noi la piazzetta omonima, uno slargo in pietra circondato da case e che, all’apparenza, non sembra abbia molto da dire; eppure, all’interno di questo racconto, diventa una sorta di snodo spazio-temporale, un crocevia tra il presente, il passato non troppo remoto ed il futuro piuttosto prossimo del paese e di questo rione in particolare.
La piazza è di recentissima ristrutturazione, così come lo sono le costruzioni di edilizia popolare che vi si affacciano: case, quindi, che in un futuro non lontano torneranno ad essere abitate. Torneranno perché, fin solo verso la metà del secolo scorso, lo erano tutte: sulla piazzetta si affacciavano botteghe di artigiani, piccole rivendite, c’era un continuo viavai di persone. Cosa che, purtroppo, non succede più.
Come tutti i paesi dell’entroterra, Morcone soffre di un forte spopolamento, anche interno allo stesso comune, considerando che molti morconesi, per diverse e comprensibili ragioni, hanno preferito spostarsi con le proprie abitazioni nella parte bassa del paese, più comoda e facilmente raggiungibile.
Anche se la sensibilità e le esigenze abitative stanno cambiando e il fascino del centro storico sta riconquistando sia i morconesi che i forestieri, per il momento, a far rivivere la vivace atmosfera del passato, almeno in parte e per un po’ di tempo, ci pensa il presepe vivente, con i figuranti che riaprono botteghe e rianimano mercati, e con i visitatori che per due giorni invadono il borgo, quando “(…) la terra che ha visto il noviziato di Padre Pio e la sua ordinazione sacerdotale ricicla ogni angolo dei quartieri dove il presepe vivente si rappresenta, fondendo la storicità dei tempi più lontani alla memoria dei tempi più vicini. Alcuni aspetti del mondo che si rievoca erano ancora presenti prima del secondo conflitto mondiale (…). La naturalezza dei luoghi e dei personaggi è sorprendente, ed è per questo che affluisce tanta gente: Morcone è Betlemme che richiama l’umanità intera (…). Ognuno interpreta se stesso e la propria vita lavorativa, viene proposta l’opera di maestri artigiani che avevano a bottega tanti garzoni e ricavavano dalle loro opere il necessario per sopravvivere. È uno spaccato di vita sannita che viene riproposto ai visitatori: copricapo e tuniche sembrano un fardello inutile su quei personaggi che potrebbero benissimo indossare coppole e mandasini”. (Il Presepe nel Presepe, tra cronaca e storia, a cura di Bruno La Marra)
Nelle parole del presidente storico del presepe vivente – ora non più in carica – troviamo tutta l’importanza ed il senso della manifestazione: rappresentare quanto avvenuto nella Betlemme dell’Anno Zero ma offrire, al contempo, piccoli scorci di storia morconese.
Il mercato
A far rivivere freneticamente questi luoghi, seppur con l’immaginazione, ci pensano anche i mercanti del presepe napoletano, immaginati proprio nella piazza, a gridare a gran voce per attirare l’attenzione dei numerosi clienti.
Non sentite le urla del pescivendolo, il richiamo del fruttivendolo, la mamma che ammonisce il figlio dal balcone, il suono di tammorre che viene da laggiù, dallo slargo in fondo alle scale?
Seppur di terracotta, i pastori si muovono, agiscono, vivono e, come attori su un palcoscenico, recitano una parte, raccontano una storia che, in questo angolo di Morcone, diviene particolarmente rumorosa, caotica, tanto viva da sembrare vera.
La scena non ha niente da invidiare ad una di quelle ben ricostruite su un presepe napoletano: stessa folla, stesso fragore di risate di fanciulli e vociare di donne e uomini intenti nelle loro attività quotidiane.
Tutto ciò mentre più in là, appena fuori dal paese, sta nascendo Gesù.
Uno dei mercanti, sicuramente morconese doc, sta vendendo panni di lana di ottima qualità, vista la fiorente attività manifatturiera presente nel paese nei secoli scorsi, che ha lasciato un paio di tracce, ancora oggi visibili, non molto lontano da qui: un palazzo chiamato Cartonera– in quantoadibito all’ultima parte della lavorazione della lana, la cartonatura- e una delle tante valechere presenti sul territorio, dislocate quasi tutte lungo il corso della Sassinora – il torrente tra Morcone e il confinante Sassinoro- che “valicavano, varcavano, torcevano i panni-lana con due magli sempre in movimento, con l’ausilio della soda e della creta, fino alla definitiva risciacquatura e spessore desiderato” (La “Nostra Morcone”, di Tommaso Lombardi, vol.1), sfruttando l’energia ricavata dall’acqua. Ora questo strumento di lavoro fa mostra di sé, raccontando un’importante pagina di storia del passato, sul tratto del torrente San Marco all’ingresso del Parulo.
Non è funzionante ma, forse, è la stessa che è stata utilizzata per valecare i neri mantelli a ruota dei pastori che, ancora oggi, li usano per coprirsi nelle fredde notti invernali, lassù in montagna, e che proprio vicino al torrente, durante il presepe vivente, si accampano con le loro greggi in attesa di andare ad adorare Gesù.
Alcuni ambulanti vendono prodotti della terra, magari provenienti dalle campagne della Piana o dalla Montagna; altri ancora espongono uova, carne, salumi, formaggi, deliziosi prodotti provenienti dagli allevamenti della zona, presenti ancora oggi sul territorio e che, sempre più spesso, finiscono per deliziare i palati dei clienti dei numerosi agriturismi nati negli ultimi 20 anni.
Nonostante ci troviamo in alta collina, in questo mercato vendono anche il pesce; nonostante le rigide temperature invernali, possiamo acquistare anche pomodori e cocomeri. Sì, perché stiamo pur sempre passeggiando tra i banchi di un immaginario presepe, dove i mercanti e i loro prodotti non rendono solo vivacissima la scena ma, come abbiamo già avuto modo di notare per altri personaggi, rispondono anche ad una precisa simbologia: non c’è km 0 o stagionalità che tenga, quindi.
Anche se, a dirla tutta, un legame con i diversi periodi dell’anno comunque c’è, in quanto i venditori sono personificazioni dei 12 mesi dell’anno. È possibile, quindi, notare una certa corrispondenza tra le loro attività lavorative e il periodo nel quale esse si svolgono.
Così il rubicondo macellaio rappresenta il mese di gennaio, il venditore di ricotta e di formaggio quello di febbraio, e non solo: c’è una simbologia nascosta dietro l’atto di rimestare il latte cagliato per ottenerne formaggio che rimanda al trascorrere del tempo e, in particolare, alla fine e all’inizio del nuovo anno che, proprio come avviene con la fermentazione, ha bisogno di crescere, di aumentare di volume. Il processo è attivato dal movimento rotatorio del braccio, continuo, ciclico, emblema del tempo che finisce e poi inizia di nuovo (esattamente come la ruota del mulino, di cui abbiamo già parlato).
A marzo corrisponde il pollivendolo e venditore di uccelli, ad aprile quello di uova, mentre maggio è rappresentato da una coppia di sposi recanti un cesto di ciliegie e di frutta. Il mese di giugno è impersonato da un panettiere o farinaro, di cui, come ricorderete, abbiamo parlato precedentemente a proposito del mulino.
Luglio, agosto e settembre non potrebbero che essere rappresentati, rispettivamente, da un venditore di pomodori, di cocomeri e di fichi, seguendo semplicemente la stagionalità dei frutti che espongono.
Forse sono proprio loro ad urlare più degli altri: pare di sentirli affannarsi a declamare la bontà della loro merce con estrema foga. Non è facile, infatti, convincere le donne morconesi, ottime cuoche, a portare un’insalata di pomodori o un cocomero sulla tavola dei giorni di Natale, tra minestra di scarole con le polpettine, capitone, pizze fritte col baccalà, solo per citare qualche leccornia.
I fichi, secchi e magari ripieni di noci, invece, troveranno facilmente posto tra diversi altri tipi di frutta secca, semplice o ricoperta di cioccolato, accanto a roccocò, mostaccioli e susamelli.
Non possiamo certo pensare che la scelta dei cibi da mangiare durante il periodo della festa dipenda solo dalla tradizione che si tramanda di generazione in generazione – e con qualche differenza, da famiglia a famiglia- nelle nostre case: parlando di presepe e di Natale, le cose si complicano, o si fanno più interessanti, dipende dal punto di vista.
Un esempio per tutti: le peculiarità irripetibili di questa festività donano il senso del rituale anche alla truce divisione in pezzi del capitone, prima di essere cucinato e mangiato. È un gesto che ha a che fare col tempo, con la sua rigenerazione e con l’auspicio che quello che verrà sarà propizio: tagliare il capitone, spezzarlo, diventa una simbolica rottura del ciclo temporale che, consumato e quindi cancellato, si rigenera in un futuro, si spera, migliore.
Durante il presepe vivente lo si vede pigiare l’uva, con forza e non poca fatica, per farne vino da vendere, ma certo non si immagina che quel figurante stia impersonando anche un mese dell’anno, ottobre, mentre è più semplice associare la figura del venditore di castagne al mese di novembre.
L’ultimo mese dell’anno è rappresentato dal pescivendolo o pescatore (spesso le due figure, nel presepe così come nella vita reale, si sovrappongono): anche di lui, in coppia col cacciatore con il quale rappresenta un’inscindibile coppia simbolica, abbiamo parlato nella Scena 1, immaginandolo nei pressi del torrente San Marco.
I mesi ci sono tutti: i mercanti rappresentati possono essere anche di più, ovviamente, ma i dodici appena descritti non possono mai mancare. Non si può sottrarre un solo mese ad un anno, neppure sul presepe.
Un’ultima cosa: la zona era molto popolata, abbiamo detto, e le famiglie erano tante. Così, mentre le mamme erano impegnate a fare la spesa, i tanti bambini sgattaiolavano via dalla piazzetta affollata per andare a giocare, poco più in là, a zompo ca te zompo (la cavallina), a mazza e piozo (la lippa) o con le biglie colorate. O, almeno, così immagino io.
Poi, finita la rappresentazione del presepe vivente, tolti i pastori del presepe napoletano, tornando ai nostri giorni, la piazza torna al suo silenzio abituale, alla sua solita tranquillità, almeno fino a quando altre storie e altre voci non torneranno ad animarla.
(da LA CITTADELLA, novembre 2020)
(continua a leggere, Scena 5)