LA CUPA. Fabbula di un omo che divinne un albero, di Mimmo Borrelli

Una scena de La Cupa di Mimmo Borrelli al Teatro Bellini di Napoli
LA CUPA di Mimmo Borrelli al Teatro Bellini di Napoli. (ph. Renato Esposito)

Ovvero, tutto – l’orrore – del mondo.

Senza filtri, senza scampo.

Ne La Cupa il male permea ogni cosa, inesorabile, ed è scaraventato addosso allo spettatore senza alcun pudore, senza alcun riguardo. La narrazione scivola sempre più nell’abisso, in un gorgo tetro e melmoso che pare non avere fine, perché “il male, quando lo fai, si ricorda di te”. E ti condanna. Nessuno ti salva, nessuno si salva.

Uno spettacolo che pesa sull’anima e che non dà tregua, a cui si assiste in apnea: si torna a respirare solo dopo gli interminabili applausi giustamente tributati ad autore, musicista e attori – superbi, tutti – che agiscono su una scena scarna ma di forte impatto, che penetra nella platea del teatro come una lama e la trafigge e la sconvolge ancor prima che lo spettacolo abbia inizio.

Antico e attualissimo, La Cupa è un racconto senza tempo di una violenza brutale, da cui si viene sopraffatti ad ogni parola e ad ogni gesto: il continuo, viscido roteare del piede di Scippasalute, gli spasmi improvvisi, feroci, selvaggi che scuotono Giosafatte, le strazianti movenze cariche di dolore di Maria, vittima in un mondo di vittime che diventano feroci carnefici.

In questo monumentale lavoro di Borrelli l’indicibile è urlato in un dialetto – napoletano che si spinge fino ai campi flegrei – duro, aspro, a tratti incomprensibile anche all’orecchio campano ma la cui ostilità nulla toglie alla travolgente forza narrativa di quello che, unanimemente, è considerato un capolavoro del teatro contemporaneo.

Ne La Cupa c’è De Simone, c’è Basile, c’è la tragedia greca: tutto pare avere un sapore ri-conosciuto ma tutto è assolutamente inedito, eppure ancestrale. Nella notte di Sant’Antonio, in cui si svolge la storia, gli animali hanno facoltà di parola ed agli uomini che hanno la sventura di ascoltarli porteranno solo dannazione e malasorte: ma la dannazione appare essere quella, devastante, dell’homo homini lupus che travolge le esistenze dannate dei protagonisti in una spirale nera di cui gli animali, per contro, non sarebbero capaci.

Numerose le repliche dello spettacolo al Teatro Bellini, ora concluse.

Ma la fabbula è già un classico, per rivederla basterà solo aspettare un po’.

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