Cemento, personale di Marcello Silvestre

Busti dalla serie "Cemento", personale di scultura di Marcello Silvestre, a cura di Azzurra Immediato. Testo di Alba La Marra
Marcello Silvestre, da CEMENTO, presso NABI Art Gallery (ph. Pablo Donadio)

Dal 27 maggio 2022, presso la NABI Art Gallery e la OFF Gallery di Napoli, è possibile visitare la personale di scultura CEMENTO, di Marcello Silvestre, a cura di Azzurra Immediato.

Di seguito, il mio testo che accompagna lo sguardo del visitatore.

Marcello Silvestre

CEMENTO

ovvero di fragilità vera e forza presunta

Geometrie umane, figure come edifici, architetture solitarie – scarne eppure eloquenti – ­si interrogano sull’io più profondo e si mettono a nudo attraverso corazze spesse quanto inaccessibili. No, non è un controsenso, è la forza di Cemento di Marcello Silvestre.

Esplorare l’animo umano è la più difficile e la più battuta delle strade, e nessuna è uguale all’altra. Silvestre percorre la sua mettendo al centro della ricerca se stesso e le sue ferite, la sua memoria, le sue visioni: intrappola il passato per costruire il presente attraverso busti senza tempo e senza volto, in cui ognuno può riflettersi e ritrovare se stesso.

Non è una scelta, quest’ultima: ri-trovarsi osservando un’opera è un’opportunità che l’artista ci offre, quando nemmeno lo chiediamo e forse nemmeno lo vogliamo; ma è il rischio che si corre quando ci si trova faccia a faccia con la forza della Scultura che, da urgenza personale, diventa paradigma universale.

La rappresentazione dell’essere umano, per progressive sottrazioni, è qui ridotta ad un insieme di poligoni dalla superfici levigate, dove la luce, a tratti, pare scivolare senza appiglio, quasi a voler sottolineare l’inafferrabile dell’animo umano. Fino ad incontrare angoli repentini, variazioni di colore, crepe impercettibili o fortemente enfatizzate che indicano una traccia da seguire, l’inizio di un racconto da ascoltare.  

La ricerca dell’altrove, suggerita dalla scultura primigenia, in Cemento diventa una ricerca dell’io più profondo: quello suggerito da Silvestre è, infatti, un percorso intimo, personale, che scava nel proprio animo e lo offre nudo, senza protezione, all’occhio di chi osserva.

I ricordi più brucianti, le lacerazioni più dolorose sono cristallizzate  in una solida armatura ricavata da un materiale che l’artista definisce “brutale e onesto” – come onesto è il racconto di cui esso è rappresentazione – ma anche “solido e duraturo”, che offre l’illusione dell’eternità.

Il suo Cemento per raccontare e proteggere, per raccontarsi e proteggersi.

La materia imprigiona per sempre ma non in un atto punitivo, piuttosto catartico; non plasma gabbie che trattengono, piuttosto scrigni che mostrano ciò che è nascosto al loro interno.

Tanto che, in un secondo momento, in un secondo luogo d’esposizione – la OFF Gallery, che dal 27 maggio ospiterà le opere che completano il ciclo di Cemento – la ricerca prosegue e scava ancora più in profondità, va oltre il non-finito per accompagnarci dentro il finito.

L’artista, infatti, dopo aver mostrato i suoi uomini senza volto dalle forme impenetrabili, si spinge e ci spinge fin dentro l’essenza dell’opera, sventrandola e arrivando fino all’osso.

Gli involucri di cemento che sembravano inviolabili si squarciano con forza, a ben vedere anche con violenza: ma è una violenza voluta, evidentemente necessaria, certo non subìta. Attraverso le crepe, le ferite tornano ad essere esposte, indubbiamente, ma non siamo sicuri che riprendano a sanguinare: magari si cicatrizzano.

E ancora: negli spazi ipogei di questo secondo luogo, fatto di memorie antiche e contemporanee, una serie di busti, una maschera e un velo si trasformano in frammenti di un dialogo muto.

Qui Silvestre si relaziona con un altro scultore – Emanuele Scuotto – e la sua opera,il Pulcinella Velato, interrogandosi sulla rivelazione del nascosto.

Due approcci diversi ma non distanti: ad un passo dal capolavoro del Sanmartino, l’opera di Scuotto svela l’arcano: sotto il velo una maschera, sotto la maschera un uomo. Attorno a quest’opera, i busti senza identità del nostro artista si rispecchiano nella rivelazione, suggerendoci, magari, che l’identità di ognuno si realizza pienamente solo nel rapporto con l’altro.

Busti dalla serie "Cemento", personale di Marcello Silvestre, e Pulcinella Velato, scultura di Emanuele Scuotto. Testo di Alba La Marra
Marcello Silvestre, da CEMENTO, ed il Pulcinella Velato di Emanuele Scuotto, OFF Gallery (ph. Pablo Donadio)

Nell’uno e nell’altro luogo in cui sono e saranno esposte, le opere di Silvestre sono al limite tra una tecnica nuovissima, il 3D, ed un’arte antichissima, la scultura.

Il virtuale non dà limiti ma diventa limite perché non è tangibile, ed a Marcello non basta. È il suo punto di partenza, il suo pensiero senza vincoli e senza costrizioni a cui deve dare però, un peso, una massa, un corpo da toccare.

L’apparente distanza del digitale è, sì, colmata dal sentire dell’uomo e dalla poetica dell’artista, ma lo scultore esige la materia, ne ha un bisogno ancestrale. Deve agire con la forza delle sue braccia, deve scalfire la superficie impolverandosi le mani, deve sentire la fatica di trasmettere all’opera il proprio vissuto.

Egli si allontana dalla realtà esperita, dunque, solo per tornarvi con più consapevolezza: dopo aver immaginato le possibilità infinite, cerca il finito.

Finito a cui affida le sue fragilità vestendole di forza. O, meglio, mutandole in forza.

Geometrie umane, figure come edifici, architetture solitarie che si interrogano sull’io più profondo e si mettono a nudo attraverso spesse corazze non più inaccessibili: sono state lacerate, rese visibili e condivise. Sono state trasformate.

Cemento

ovvero di fragilità vera e forza conquistata.

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