LA CITTÀ DELLA cometa (Scena 2)

Scena 2

Il lato oscuro del presepe

Morcone è uno dei luoghi più terribili della terra. Chiunque vi era andato vi aveva fatto una brutta fine. Morcone sta su una montagna alta quanto le nuvole, piena di rocce, nascondigli, dirupi, crepacci, burroni, spelonche in cui si nascondono le bestie feroci…Gli orchi che l’abitavano imprigionavano i malcapitati, e i più belli e giovani li mettevano in una botte all’ingrasso, si facevano mostrare il dito da un pertugio, e se il mignolo era diventato grasso come il pollice preparavano la pentola d’acqua calda per farlo bollito o la brace per mangiarlo arrostito. Nel sentir questo po’ po’ di roba Catuccio tremava come una canna al vento, ma dovendo ubbidire alla madre (…) si avviò alla volta di Morcone. Camminò per tre giorni e per tre notti e per un altro giorno ancora fino al tramonto quando finalmente si trovò di fronte la montagna maledetta. Quanto era grande! Non si vedeva dall’altra parte del mondo!” (Ninfa plebea, di Domenico Rea).

Lo scrittore napoletano Domenico Rea parla così di Morcone nel suo Ninfa plebea, Premio Strega nel 1993. Aveva avuto la possibilità di visitare il nostro paese e di assistere al presepe vivente, e ne era rimasto profondamente affascinato: questa, dunque, la suggestione che aveva suscitato nel suo animo la visita al nostro borgo e questa la immaginifica e terrifica descrizione – dove si riconoscono anche gli echi de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile- che la sua sensibilità d’artista ne aveva restituito.

ph. Marino Lamolinara

In qualche modo, ora, anche noi ci immetteremo in questa inusuale scia oscura suggeritaci da Rea e faremo vivere, in diversi luoghi di Morcone, non orchi ingordi ma personaggi del presepe che provengono dall’enorme patrimonio favolistico non solo di Napoli ma dell’intero Sud Italia, e che sono legati, inaspettatamente per i più, al mondo degli inferi. Sono personaggi demoniaci, terrifici che ben rappresentano, infatti, uno degli aspetti meno conosciuti ma più intriganti della rappresentazione della nascita di Gesù, ovvero il suo legame con il mondo ctonio.

La premessa necessaria è che, secondo una diffusa credenza, il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, avviene qualcosa di straordinario: è come se si aprissero le invisibili porte che collegano il nostro mondo con l’Aldilà e i morti tornassero liberi di vagare nei luoghi dove erano vissuti.

Si racconta, poi, che nelle 12 notti del Natale, quelle che vanno dal 24 dicembre al 6 gennaio, sulla terra si “attivano” gli spiriti buoni e quelli cattivi, le anime dannate e quelle benefiche. È, quindi, un tempo pericoloso, pieno di insidie legate alla forte presenza, fra di noi, di anime tormentate, di demoni sotto mentite spoglie, di mostri infernali che cavalcherebbero le anime dei morti.

Questa compresenza di Bene e Male è possibile perché nel periodo di sospensione temporale che è il Natale il tempo si ferma, il ciclo storico si sospende e presente e passato, mostruoso e divino possono convivere. Poi, “finalmente, il 6 gennaio, giorno in cui l’epifania solare si mostra in tutto il suo fulgore, la luce divina fuga gli spiriti della morte, costringendoli a tornare nei loro luoghi sotterranei; il tempo riprende il suo corso, attivandosi come una serpe che si rigenera ciclicamente.” (Il presepe popolare napoletano, di Roberto De Simone).

Ma intanto, fino all’Epifania, queste presenze le ritroviamo sul presepe e nella nostra città della cometa

Il ponte della Vedova

Percorrendo la cosiddetta Panoramica Sud-Matese, la strada esterna al paese che, senza passare per le strette e quasi inaccessibili vie del centro storico, permette di raggiungere in auto la parte più alta del nostro borgo, e imboccando un sentiero immerso nel verde, si arriva ad una piccola e scenografica cascata formata dalle acque del torrente Ceca, sormontate da un ponte risalente con molta probabilità alla seconda metà del XVII secolo e di recente ristrutturato, il cosiddetto Ponte della Vedova. Secondo la leggenda, si chiama così perché venne fatto costruire da una donna che aveva perso l’unico figlio e il marito pastore che, nel tentativo di guadare il fiume in quel tratto, erano morti travolti dalle acque: affinché nessun altro patisse il suo dolore, la povera donna pensò che quella costruzione avrebbe potuto salvare le vite che invece erano state tolte in modo così tragico ai suoi cari. Un’altra versione della leggenda narra, invece, che una donna, rimasta vedova, si sia gettata dal ponte per trovare morte certa in quel luogo di pace (La “Nostra Morcone”, di Tommaso Lombardi).

Certo, nessuna delle due donne protagoniste delle leggende succitate avrebbe potuto immaginare che, nei pressi di quello stesso ponte, durante le ormai conosciute 12 notti di Natale, il loro destino si sarebbe potuto incrociare con quello di un’altra sventurata, vittima anch’ella di un fato crudele.

È notte (il presepe è immaginato come un paesaggio notturno, ricordate?) ma riusciamo lo stesso a scorgere ai piedi del ponte una sagoma scura: è una donna riversa a terra, esanime. Si tratta di Mafalda Cicinelli, una principessa costretta dal padre a prendere il velo monacale ma che amava, riamata, un paggio. I due, ahimè, si danno appuntamento presso il ponte la notte di Natale ma il padre di lei, saputo dell’incontro, la precede e uccide il malcapitato, tagliandogli di netto la testa. Mafalda giunge sul luogo dell’appuntamento e, stravolta, raccoglie la testa dell’amante e se la pone in grembo prima di conficcarsi un pugnale nel petto, all’altezza del cuore straziato: non poteva continuare a vivere senza di lui. Si racconta che da allora il fantasma della suora suicida per amore appaia tutte le notti di Natale presso un ponte: a Napoli si dice che sia quello della Maddalena, a Morcone io l’ho immaginata presso il ponte dove, come abbiamo visto, altre due infelici avevano perso l’amore o la vita. Un luogo ameno che però, nel mio racconto, si tinge di rosso sangue e lega la vita di più donne in un unico, tragico destino.

Mafalda Cicinelli (laboratorio La Scarabattola, ph. Sergio Siano)

Percorrendo d’inverno quel sentiero d’alta collina immerso nel verde, a ridosso di rilievi montuosi che superano i 1000 metri di altitudine, in una di quelle notti in cui fa “un tempo da lupi”, beh, è facile che se ne incontri davvero uno. È il tempo di Natale e un sospetto ci assale… sì, potrebbe trattarsi di un lupo mannaro: secondo un’antica tradizione, infatti, i nati alla mezzanotte del 24 dicembre, durante le notti di plenilunio che vanno dal 25 novembre al 25 gennaio, diventano mostri assetati di sangue, pronti a sbranare anche i bambini pur di sfamarsi.

Il periodo natalizio è lungo e le gelide notti invernali sembrano non finire mai, così come le presenze terrifiche che infestano questi luoghi all’apparenza tranquilli: li vedete, sopra al ponte, quegli inquietanti figuri incappucciati, scalzi e con il pollice in fiamme, che procedono in fila e scompaiono dall’altro lato della costruzione? Sono 12 monaci che rappresentano gli altrettanti mesi dell’anno appena trascorsi o, anche, i 12 giorni di Natale che sono finiti: nei presepi più tradizionali queste figurine compaiono, infatti, il 6 gennaio e vi rimangono fino al 2 febbraio, giorno della Candelora, quando si festeggia la presentazione di Gesù al tempio e quando – solo allora, non un giorno prima- si ripone il presepe. A seguito del corteo dei Re Magi i monaci stanno tornando nell’Aldilà, rendendo evidente la simbologia del ponte come luogo di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, come luogo limite tra l’aldilà e l’aldiquà.

I 12 monaci sul ponte (laboratorio La Scarabattola, ph. Sergio Siano)

Una raccomandazione: nell’attesa di posizionare queste dodici statuine sul ponte ricordatevi, il giorno prima dell’Epifania, di non spazzare a terra per nessun motivo. Togliere la polvere dal pavimento quella sera, infatti, sarebbe come gettare nel fuoco dell’inferno le anime del purgatorio!

Un’altra usanza domestica, tutta nostrana e forse piuttosto dimenticata, è legata al numero 12, stavolta in relazione alla prima dozzina di giorni del mese di dicembre, quando si fanno le cosiddette calemme: si osserva, cioè, il tempo dei primi 12 giorni di dicembre per avere una previsione metereologica dei mesi dell’anno a venire. Ogni giorno corrisponde ad un mese e il tempo che si osserva in quello specifico giorno lo si avrà nel mese corrispondente del nuovo anno. Il racconto di queste due ultime usanze è stato raccolto dalla viva voce di nostre anziane concittadine (e riportate nel libro La chiave nella toppa di Lorenzo Piombo, Ed. La Cittadella) riunite esattamente sulla piazza di cui parleremo ora.

Piazza del Pozzo

Spostiamoci in Piazza del Pozzo,la più bella, la più attraente, la più accogliente, la più curata piazzetta di Morcone”, come la definiva il nostro compianto concittadino Tommaso Lombardi nel suo preziosissimo compendio in due volumi sul nostro paese, edito sul finire degli anni ’80, La “Nostra Morcone” (2 volumi, Ed. Biblioteca Comunale Comune di Morcone). Uno sguardo innamorato il suo, certo, ma non per questo non veritiero.

Piazza del Pozzo è ancora oggi un delizioso angolo della parte alta del nostro borgo dove il tempo sembra essersi fermato: c’è un minimarket di quartiere, un piccolo emporio dove si trova di tutto un po’ e che è, da circa un secolo, un punto di riferimento per le persone della zona e un punto d’attrazione dal sapore vintage per i visitatori che si recano per la prima volta sulla piazzetta. La fontana che vi si trova è stata tra quelle alimentate dal primo acquedotto di Morcone, costruito ai primi dell’800, ed è dotata anche di un lavatoio pubblico (o lavaturo, per noi morconesi). Qui, fino alla prima metà del secolo scorso, vi avremmo visto le donne della zona – tra cui mia nonna- intente a lavare i panni così come, se la fontana si trovasse su un presepe, vi avremmo visto delle lavandaie in terracotta intente nello stesso lavoro; ma di questo parleremo più approfonditamente in seguito, nell’articolo dedicato interamente al mondo femminile sul presepe.

Un’immagine rassicurante di Piazza del Pozzo, sommersa dalle neve. (ph. Marino Lamolinara)

La più attraente piazza di Morcone deve il suo nome alla probabile presenza di un pozzo, lì dove ora c’è la fontana. Facile immaginarlo, ormai: anche questo elemento ha il suo significato preciso che, agli occhi dei meno esperti, si nasconde completamente dietro la pur giustificata meraviglia che si prova nel vedere quelle costruzioni lillipuziane riprodotte alla perfezione sul presepe, del tutto simili a quelle vere a grandezza naturale. Qui la fantasia degli artefici appassionati si ingegna: la cara amica Angela, per esempio, mi raccontava di come, sul suo amato presepe, trasforma un ditale da cucito in un secchio con cui attingere l’acqua dal mini-pozzo. Ma attenzione: proprio questo non bisogna fare durante la notte di Natale! Si tramanda, infatti, che l’acqua attinta in quelle ore potrebbe essere infestata da spiriti maligni capaci di possedere la persona che la beve. Altre storie raccontano che non bisogna farlo perché nell’acqua tirata su quella notte si potrebbero intravedere i volti delle persone che sarebbero morte entro la fine del nuovo anno. Non proprio una visione piacevole, dunque.

Tutto questo accadrebbe perché il pozzo rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee legate agli inferi. Nel periodo natalizio, come abbiamo visto, regna una certa confusione tra i due mondi: meglio evitare atteggiamenti pericolosi, non si sa mai.

Se al posto dell’attuale fontana c’era davvero un pozzo, sulla piazzetta morconese forse qualcuno degli abitanti della zona (pochi, in verità, negli ultimi tempi, soprattutto nel periodo invernale. Molto numerosi, invece, fino a solo una cinquantina di anni fa!) ha avvistato nei suoi pressi ‘a papera cugliuta, un’oca dagli smisurati attributi maschili che spaventa a morte coloro che, poverini, la guardano. O, probabilmente, i più anziani, da bambini, si saranno sentiti raccomandare di non avvicinarsi a quel pozzo durante le famigerate sere del periodo natalizio, perché altrimenti Maria ‘a manilonga, un mostro che vive nelle acque profonde, li avrebbe afferrati e trascinati con sé.

Certo, immaginando questa piccola folla di presenze maligne concentrarsi lì, la piazza potrebbe apparire molto meno accogliente di quanto detto prima, soprattutto nelle silenziose, lunghe, gelide notti invernali…

Il diavolo incatenato

Nel momento in cui nasce Gesù, quando appare addirittura una sfolgorante stella cometa in cima alla grotta, tutta l’attenzione degli spettatori del presepe vivente si concentra lì, all’interno della stessa, tra le rosee gote del bambino e gli sguardi rapiti di Maria e Giuseppe. Eppure, se si guardasse dietro, in fondo al Parulo, nell’oscurità che neanche le tante fiaccole dei pastori riescono a rischiarare, si riuscirebbe a vedere anche lui, Satana. Sì, il Principe delle Tenebre, proprio a pochi passi da Nostro Signore in fasce: se, ormai, la compresenza del Bene e del Male sul presepe non ci meraviglia più, immaginare il Diavolo in persona vicino alla grotta divina forse, un qualche sussulto, pur ce lo provoca. Nonostante tutto, però, a ben vedere, egli è legato ad una roccia, ha le catene ai polsi e alle caviglie: è presente, quindi, ma impotente, non può fare niente perché sta nascendo Gesù, la Luce che sconfigge il buio del peccato.

Il diavolo in catene (laboratorio La Scarabattola, ph. Paola Tufo)

Ma, pensandoci, non è forse un bene vederlo, e pure con chiarezza? Non è forse vero che se il Male lo vediamo e lo riconosciamo possiamo difenderci e, magari, provare a sconfiggerlo?

Dovremmo preoccuparci, infatti, molto di più di quel macellaio nella sua bottega o di quell’oste che occupa la spelonca accanto alla grotta divina: sembrano semplici personaggi intenti nei loro mestieri quando, in realtà, sono presenze diaboliche sotto mentite spoglie, subdole e pericolose.

Tenetele a mente, ne riparleremo.

Alla luce di quanto detto finora, pensando all’inizio del nostro racconto, una domanda ce la poniamo: non è che Domenico Rea, quella sera di tanti anni fa, aveva sbirciato dietro alla grotta, sotto al Ponte della Vedova, vicino al pozzo e aveva intravisto tutto ciò?

Forse le sue suggestioni nacquero proprio così.

Forse non sono solo suggestioni…

(da LA CITTADELLA, settembre 2020)

(continua a leggere, Scena 3)

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